lunedì 30 novembre 2020

La socialità virtuale e la perdita di udito

L'ipoacusia del cuore...


Devo dire che mi sono davvero stupito per la grande quantità di messaggi che ho avuto in questi giorni per il mio compleanno. Davvero in tanti mi hanno fatto sentire la loro vicinanza con i loro messaggi su whattsapp e con i commenti su facebook. La cosa mi ha fatto molto piacere,perché in un momento così particolare, sapere che qualcuno ti stia pensando è molto positivo.

Devo però anche constatare di come, nonostante ci sia stato questo straordinario afflusso di persone verso le mie pagine, in tutta la giornata di ieri non abbia ricevuto neanche una telefonata. Questa cosa, naturalmente, non mi preoccupa però mi ha fatto riflettere su queste socializzazioni virtuali.

Viviamo in un periodo storico molto particolare, questo strano virus, che ho già definito “diabolico”, ci ha praticamente annullato tre sei nostri sensi. Il tatto lo ha annullato col distanziamento, come pure la vista in molte circostanze e l’olfatto, naturalmente parlo di questo riferendomi ai rapporti interpersonali. Ma come se non bastasse tutto questo ci stiamo anche privando del senso dell’udito, noi chattiamo, postiamo, condividiamo, guardiamo ma ascoltiamo sempre meno le persone a noi care, gli amici. Preferiamo lo scrivere al parlare, leggere all’ ascoltare. Il nostro orecchio si sta chiudendo e l’era delle immagini prende sempre più spazio nelle nostre relazioni.

Tutto questo potrebbe anche essere utile se i cosiddetti social fossero usati nella maniera corretta, per fare conoscenza di persone nuove con le quali poi confrontarsi e crescere, purtroppo però non è sempre così. Diventiamo sempre assoggettati psicologicamente alla febbre dei like e così pubblichiamo cose che poco ci interessano o che non rappresentano ciò che siamo e quello in cui crediamo, preferiamo seguire l’onda di quello che piace alla massa. Mi sono accorto che molti condividono articoli dei vari giornali on line senza neanche leggerli, solo perché i titoli, fatti apposta per attirare l’attenzione, possono attirare tanti consensi.

Tutto questo svaluta i mezzi moderni che potrebbero essere davvero un’occasione di crescita nel confronto. Non possiamo fare molto in proposito se non rilevare il fatto e magari incominciare a cambiare il corso della corrente, con piccoli gesti: parlando di più, facendo ascoltare la nostra voce, dando meno per scontato che sia la stessa cosa parlare o condividere un messaggio, è molto meglio prendersi un momento per scrivere un buongiorno con la tastiera piuttosto che mandare un’immagine ad una lista enorme di persone senza nessuna distinzione, ma ancora meglio è usare la voce e comunicare dal vivo, visto che siamo persone reali.

Quindi ringrazio tutti per il pensiero di aver voluto salutare una mente-bislacca come la mia per il compimento dei miei anni sperando che in tempi migliori si possa recuperare tutti i sensi per poterci riunire di nuovo in un stretta di amicizia molto più reale

sabato 28 novembre 2020

Uno scatto di anzianità

 

Il vino migliora invecchiando...fosse vero!

bislacca-mente 49 anni
(Yogs ed età)

E invece no, ad un certo punto della vita, e capita improvvisamente, pare che tutte le cellule del tuo corpo prese da una foga di anarchia totale decidano di fare ognuna di testa propria, senza avvertirti, senza chiederti il permesso. I capelli ti lasciano e i restanti si incanutiscono, alcuni bulbi piliferi invece decidono di impiantarsi imprevedibilmente nei punti più inaspettati, il naso, le orecchie, cose mai viste prima che Blade Runner levati proprio ( “ho visto cose che voi umani...”per chi non avesse capito il rimando), per non parlare dei peli del petto che d’improvviso ti diventano bianchi, ma non interamente o con un senso logico, ma a chiazze! E poi i rumori vari che ti inseguono, i ronzii nelle orecchie, gli scricchiolii nel collo che più che una cervicale pare che nel collo si sia stabilito definitivamente un maraquero con le sue maracas a corredo. La mattina scendere dal letto diventa sempre più fastidioso, srotolarsi per raggiungere una posizione meno imbarazzante di quella fetale può diventare una cosa impervia.

Comunque sia, il tempo passa, le esperienze, belle o brutte che siano, si accatastano giorno dopo giorno in questo schedario un po’ liso della memoria e si trasformano a volte in rimpianto, altre in nostalgia che si affaccia di tanto in tanto e ti ripropone visi di persone lontane partite per mete indefinite.

Nonostante tutto però, la consapevolezza di esserci, di poter osservare ancora volti amici, persone amate di cui prendersi cura e che a loro volta si curano di te non può che riempirti di gratitudine per il semplice fatto di respirare ancora i profumi di una vita che comunque va avanti con i suoi affanni, le sue gioie uniche e irripetibili di ogni istante trascorso a contemplare questo universo che è qui per noi per la nostra soddisfazione per essere ammirato.

Aggiungiamo allora un altro scatto di anzianità al contatore inesorabile della vita, grati per quello che ci passa questa esistenza , le sue sfumature, per le persone che ci sono, per quelle che ci sono sempre state, per quelle che volutamente o meno si sono allontanate ma che comunque hanno lasciato un segno che resta a rumoreggiare nei battiti a volte più chiassosi dello scricchiolio del collo.

Tanti auguri quindi a me per questi quaranta nove amici che mi porto appresso, a questa mente-bislacca che tra le scarpe e il berretto rimane ancora lo stesso sognatore di sempre, l’eterno adolescente che non vorrebbe mai invecchiare e che rimane incastrato spesso nelle sue metafore logorroiche e un grazie a coloro che hanno la pazienza di ascoltare o leggere le facezie che lascio in giro al mio passaggio

venerdì 27 novembre 2020

La balla del libero arbitrio...allacciate le cinture!

 

Il nostro"libero arbitrio"
(Il nostro"libero arbitrio")

Siamo o no liberi di scegliere?

Questa è una domanda che spesso ci facciamo quando parliamo di religione ma anche quando ci muoviamo in altri settori della vita. Siamo realmente noi i protagonisti delle nostre decisioni e meglio ancora, siamo noi a scegliere quello che vogliamo fare o in qualche modo siamo condizionati dall’esterno, dalle altre persone o dalla mentalità dominante? E nella sfera teologica? Siamo cioè davvero liberi?

Per me la risposta è relativamente semplice da dare. Penso proprio di no.

Per tanti secoli la chiesa cattolica ci ha spiegato che siamo creature dotate di intelletto e che possiamo usarlo per accettare o meno la volontà di Dio, che possiamo anche voltargli le spalle ma io leggendo e rileggendo la Sacra scrittura tutto questo non l’ho mai trovato e credo che neanche la chiesa abbia mai inteso questo concetto in maniera così stretta. Naturalmente il viaggio che stiamo per fare deve poi ritornare a dei principi che possano essere condivisibili nel mondo circostante, per cui salperemo dal molo della religione per attraccare alle terre emerse della società in cui viviamo.


Già dai primi passi della Bibbia si legge che l’uomo si ribella al suo Creatore in maniera evidente. Dio gli “ordina” di non mangiare dell’albero della vita e lui puntualmente trasgredisce il comando. In seguito la storia si ripete più volte in maniera diversa ma comunque con esiti per lo più uguali. Ogni volta cioè che l’uomo contravviene ad un comando assegnatogli dal creatore, lo stesso infligge al malcapitato una punizione. Ancora possiamo parlare dei comandamenti, che si chiamano appunto così, perché sono indipendenti dalla volontà dell’uomo di accettarli ed eseguirli. Inoltre a corollario di dette regole il signore dona anche delle pene espiative da eseguire per i trasgressori, fino ad arrivare, per i casi più gravi, alla morte come nel caso della bestemmia o dell’adulterio.

Occorre però fermarci un attimo nella nostra navigazione e gettata l’ancora cercare di scendere un po' in profondità per capire meglio alcuni concetti. Come mai l’uomo ha bisogno di essere corretto, anche punito se poi parliamo di libero arbitrio? Quale senso può avere un atteggiamento simile. Allontaniamoci allora per un momento dalla sacra scrittura, dalla legge ebraica per entrare in un insieme di regole a noi più familiari. Prendiamo come esempio il codice della strada e in particolare la legge sulla sicurezza che riguarda le cinture a bordo. In realtà la legge entra nell’abitacolo del veicolo e ci impone di allacciarle. Se le forze dell’ordine ci dovessero fermare con le cinture non allacciate sicuramente ci verbalizzerebbero una multa salata. Molti non comprendono ancora oggi le motivazioni che muovono lo stato a compiere simili gesti, in fondo la sicurezza riguarda soltanto noi. Fatto sta, però, che la paura della multa ci “obbliga” a proteggerci col dispositivo e in questo modo , in caso di incidente, molte volte anche ad uscire illesi da uno scontro. Tante persone possono raccontare questi fatti grazie ad un riflesso di una legge e per la paura di un eventuale provvedimento ad esso correlato. Diciamo che per i comandamenti avviene la stessa cosa, si parla di inferno, di supplizio eterno, di legge, tutte cose che esulano le nostre libere intenzioni e vanno anche queste viste in un’ottica di salvezza individuale; per raggiungere quello che chiamiamo Paradiso che altro non è che la vita in Dio, bisogna essere santi proprio perché Dio stesso è Santo. Queste regole servono per questo, per non allontanarci e cadere così in un gorgo peggiore che è quello di perdere la possibilità di una vita piena.

Tutto questo naturalmente ha il suono di una lontana campana aleatoria se non la contestualizziamo nella vita di tutti i giorni. A questo punto pensare che il libero arbitrio sia davvero possibile mi diventa davvero complicato da sostenere. Se mi trovo a percorrere una strada a senso unico e raggiungo un bivio con due cartelli che mi indicano per esempio da un lato “Bologna” e dall’altro “ Milano”, posso davvero decidere liberamente la strada da percorrere. Ma se si cartelli mi indiano da un lato “Milano” e dall’altro “STRADA INTERROTTA STRAPIOMBO DI 300 M”, allora avrò si la possibilità di accedere a quella via ma solo se ho intenzioni suicide. Per farla breve, nel secondo caso anche se all’apparenza può sembrare che la decisione possa essere presa da me, in realtà devo sottomettere la mia volontà a quella di chi ha cominciato i lavori o almeno a quella di chi ha messo quel cartello.

In ogni situazione della vita, in ogni contesto ci troviamo: politico, sociale, religioso le regole sono fatte per permettere la convivenza tra le persone e per farle comminare tutte in una stessa direzione, verso un progetto comune. Dal punto di vista religioso il motivo è abbastanza intuitivo in quanto siamo tutti immersi in un progetto di salvezza universale che implica tutti e che prescinde la volontà del singolo. Immaginate se tutti i progetti divini potessero essere messi in crisi da una singola persona che volesse decidere di fare di testa propria. L’intera umanità bloccata con le quattro frecce per colpa di uno o pochi individui ribelli. Il concetto è improponibile già nella sua formulazione. Ma anche in tutti gli altri settori la cosa non è molto diversa, quei pochi anarchici che ogni tanto si affacciano alla storia vengono presto messi a tacere perché il bene comune supera ogni diritto privato alla ribellione, per questo esistono le leggi, per questo esistono anche le punizioni espiative.


In questo periodo così cupo per tanti motivi che viviamo, i negazionisti, i “contrari a prescindere”, i complottisti non fanno altro che procurare malcontento, caos e incertezze che non approdano da nessuna parte, questa non è libertà di opinione né esercitare il libero arbitrio ma solo un vano tentativo di dare fastidio. Urge da parte di tutti un ritorno alla coerenza e alla coesione per uscire insieme al più presto da questa brutta situazione che ci ha fermati ad un angolo.

Ma il mio scopo non era fare la morale a nessuno ma solo portarvi in giro da un lato all’altro della mia mente_bislacca...

giovedì 26 novembre 2020

Da San Paolo a Maradona...strane preferenze italiane

 

Avvengono cose che non comprendo...

Non intendo mancare di rispetto alla memoria di nessuno e soprattutto giacché questo, non vuol essere un blog giornalistico, eviterò di fare una cronistoria della vita di un grande personaggio dello sport del quale ormai si sa praticamente tutto.

Vorrei invece guardare i fatti da un’altra prospettiva, quella di una mente-bislacca naturalmente.

Non voglio certo mettere in dubbio la grandezza di un atleta del calcio come Maradona, lo conosciamo tutti, sappiamo il suo talento, di quello che rappresenta per Napoli e le sue gesta sportive. Se lo si vede ,però , da un profilo strettamente professionale le cose potrebbero sembrare diversamente.

In tutte le professioni o mestieri il compito principale di ogni lavoratore è svolgere tutto nei migliore dei modi, al meglio delle proprie capacità e in questo anche i calciatori sono chiamati alla stessa attenzione, anzi visti i loro esagerati emolumenti, la loro dovrebbe essere davvero una missione di professionalità. Per farla breve diciamo che per un calciatore essere bravo è semplicemente svolgere il proprio dovere nei confronti della società che lo stipendia e degli spettatori che pagano il biglietto.

Fatta questa premessa vediamo di analizzare un fatto. Il Sindaco di Napoli sta decidendo in queste ore di modificare il nome dello stadio di Napoli e cambiarlo da “San Paolo” a “Stadio Maradona”.

Lo stadio in origine si Chiamava “Stadio del Sole” poi modificato con quello del Santo di Tarso.
San Paolo non era semplicemente un bravo teologo, rappresenta anche il peccatore che si converte, l’uomo che si dedica agli altri, la persona che riesce a risollevarsi, ma soprattutto è stato un grande evangelizzatore e molto del nostro modo di pensare, della nostra stessa libertà dipende da lui.

Adesso modificare di nuovo il nome di questo campo, non è cosa facile, almeno non dovrebbe esserlo, occorre un personaggio storico ugualmente di spessore e importante.

Se dovessi giudicare l’uomo prescindendo dal calcio, che come abbiamo già visto, già ampiamente remunerato, non riesco a trovare un solo motivo per questo cambio, anzi trovo che sia una mancanza di rispetto per tutti coloro che tutti i giorni compiono serenamente il loro dovere, senza mancare di rispetto a nessuno, senza essere in vista, tutti coloro che pagano le tasse, che vivono una vita sobria e che non usano sostanze strane…

Insomma non credo ci siano i presupposti per farlo passare alla storia come un grande eroe da emulare. E’ un mio pensiero e non vuol essere un giudizio sull’uomo, ma penso che prima di sostituire un santo con un calciatore occorre pensarci davvero tanto ed assicurarsi che lo stesso sia all’altezza del cambio, in fondo stiamo parlando di uno dei due fondatori della nostra religione.

Se poi penso a tutti i medici che operano e salvano centinaia di vite umane che nnon vengono mai considerati da nessuno, non riesco davvero a capire motivi di queste decisioni.

Ma non badate a quello che penso io...si sa sono bislacco

martedì 24 novembre 2020

Lo diceva Ungaretti, ma oggi più che mai è da condividere.

(Otto anni fa pensavo così e non mi pare sia cambiato molto…)

Siamo tutti in cerca di un sorriso, una carezza su cui poggiare le nostre piccole o grandi miserie. Eppure è così difficile trovare aiuto! Passeggiamo in mezzo a persone chiuse nei paltò del proprio egoismo, anche un sorriso sembra un lavoro impossibile da compiere. Percorro le strade, sempre più trafficate e così deserte allo stesso tempo. Ti accorgi che nel mondo c’è sempre più gente e molte meno persone. Tutti sprofondati nel telefonino, negli affari, nei moduli da compilare, sguardi bassi.
Sapete qual’è la più grande sfortuna dei maiali? Sono incapaci di guardare il cielo, non lo possono fare, guardano solo in avanti e a terra. Ricordo l’episodio del Vangelo in cui il Signore scaccia i demoni e li manda in una mandria di porci, loro volevano andarci perché lì non avrebbero visto il cielo. L’umanità si sta comportando così?
E’ possibile che sia così difficile alzare la testa, guardare gli altri, magari sorridere?
No, siamo troppo presi dalla terra che come una calamita attira gli sguardi rilegando tutti in una prigione di solitudine. Poi ci si illude di avere amicizie sincere con le quali fare colazione insieme, scambiare qualche battuta puerile. Ma quanti sono davvero disposti ad ascoltarti a diventare per te un appoggio per la tua vita per i tuoi sentimenti, per la tua malinconia.
A volte mi chiedo che senso abbia tutto questo. Cercare sempre persone nuove e accorgesi che di te in realtà non gliene importa nulla, tutti cercano di utilizzarti e contemporaneamente si difendono per non essere utilizzati da te. E’ per questo che io ho davvero pochi amici ed è per questo che ne sono così lieto. Non è la quantità che importa ma è il legame che ci unisce che rende la nostra amicizia unica. Persone con le quali puoi rimanere distante anche mesi e che appena li ritrovi, il tuo rapporto con loro ricomincia lì dove lo avevi lasciato, persone sulle quali puoi contare perché sanno che loro possono contare su di te.
In realtà è che ci accorgiamo degli amici sono quando siamo affaticati spiritualmente, quando un piccolo o grande dolore viene ad abitare la nostra anima, perché è proprio in quel momento che senti il peso della solitudine. E’ così, l’ho già detto, l’allegria trova presto dei compagni, ma il dolore… quello no! E’ solo e ci sembra che nessuno possa capirci a fondo. Il dolore è qualcosa di strettamente personale, l’unica cosa veramente nostra, talmente nostra che nessuno per quanto si sforzi può capire con esattezza. A volte si sente questa frase: “Cosa vuoi che sia!”. Ma non c’è un metro per misurare il dolore; ognuno lo vive in maniera autonoma dagli altri, nella propria pienezza, nella pienezza della propria anima. Così tutti veniamo giudicati di esagerazione e tutti pienamente soffriamo le nostre piccole angosce esasperate dall’insofferenza altrui. Questa è la solitudine ed in questo siamo più soli degli eremiti perché, in un mondo che nel suo caos ti avvolge con la sua indifferenza ci sentiamo degli esiliati, mentre chi vive la sua solitudine, fisica, ricercata , riesce ad abbracciare tutti i popoli senza per questo aver bisogno di loro. E’ così inevitabilmente. Allora che fare? Esiliarci dal mondo? Sederci sul cucuzzolo di una montagna, segregarci in qualche clausura in attesa che questo mondo passi?
Non avrebbe senso, una sola è la vita e tutti abbiamo il dovere di viverla appieno, superando le difficoltà e le mortificazioni che ci opprimono la mente, pensando che tutto passa e che è del tutto inutile cercare la soluzione sul pavimento. Alzare la testa quindi e reagire, sorridere in cerca di qualche persona che per noi diventi cara e come una balaustra ci faccia, spassionatamente, appoggiare la nostra malinconia…o questi pensieri di una mente -bislacca.

lunedì 23 novembre 2020

IL running...metafora della vita

 

Da un po' di tempo ho scoperto il piacere di correre.

 Prima non riuscivo a comprendere tutte quelle persone che di buon mattino, buttandosi giù dal letto, si mettono addosso tenute ridicole dai colori più improbabili per andare a sudare, senza un particolare motivo, senza un’urgenza incombente. Pensavo che io non l’avrei mai fatto senza un pericolo di vita impellente o di evacuazione ( il riferimento ai servizi di prima necessità mattutina è del tutto casuale). Poi sono caduto, anche io nel gorgo mentale, del “ci voglio provare”, questo buco nero della volontà che in maniera irrazionale assorbe in se ogni buon senso e ti fa fare cose del tutto assurde che nessun essere vivente pensante farebbe mai di sua spontanea volontà. Così mi ritrovo anche io, la mattina ad orari assurdi, dove neanche il gallo più insonne oserebbe alzare lo sguardo e se lo fa è solo per guardarti con biasimo. a fare esercizi di allungamento per riscaldare i muscoli per evitare strappi che se fossi rimasto a letto al caldo, nessuno ti avrebbe strappato nulla.

E poi correre, correre per chilometri e chilometri, sudare, stancarsi quando potresti benissimo rimanere a russare senza vergogna fino a tarda mattinata. E invece no, non si sa per quale strano meccanismo ci provi e ti accorgi che ti piace e che nonostante la fatica, i dolori ai muscoli, ai legamenti, non riesci più a farne a meno, diventa una droga che poi sai che ti mancherà quando per qualche motivo non potrai perpetuarlo.

La pace, l’aria fresca del mattino, gli odori, i colori che si possono ammirare all’alba sono qualcosa di straordinario che solo chi fa queste uscite può comprendere.

Durante le mie corse, a volte, decido di fissare una meta che sarà la metà del percorso, normalmente uso un antico monumento per girarci intorno. Alla metà del percorso mi capita spesso di avere un certo senso di compiacimento perché so che da quel momento in poi la strada che dovrò percorrere sarà ad ogni passo sempre più breve e potrò finalmente rilassarmi e tornare a casa. Durante la corsa, trovo sempre qualcuno che come me fa la stessa strada, non so chi sia, da quanti chilometri stia sudando, né quanto sia fresco, per cui mi metto a lato della carreggiata e lo faccio passare, in fondo non è più questa l’età di gareggiare con nessuno, non sarebbe utile né per me né per lui, al massimo gli sarei d’ intralcio. Poi penso, però, che in fondo questa sensazione euforica che sto sentendo per aver raggiunto la meta di mezzo non sia poi così giustificata, in fondo nessuno mi costringe a correre, è qualcosa che mi piace che voglio fare io! Così la soddisfazione per i risultati ottenuti, si vela di un senso  sottile di  amarezza per il fatto che presto sarà terminata la corsa.

Così ci ho fatto caso e ho compreso che tutto questo per me ha il valore di una metafora perfettamente applicabile alla mia vita.

Già da qualche anno mi sono accorto di aver raggiunto e superato il “monumento” del metà percorso, ci ho girato intorno e me lo sono oramai lasciato alle spalle. Si, per quanto bene mi possa andare sono consapevole che quello che mi resta da percorrere sarà comunque meno della strada compiuta. Non so ancora quante storte, quanti accidenti troverò per strada, certo molte cose le ho imparate all’andata per cui ho molta più esperienza, forse so come distribuire meglio le energie, il fiato, ma dentro ho un certo senso di amarezza, perché nonostante la fatica, il sudore, i vari acciacchi questo esserci a correre mi piace e mi piacciono le persone che incontro e vedere da lontano anche la loro di corsa, i paesaggi che si presentano ai miei occhi. Pertanto così un po' bislacca-mente continuo a correre sulla strada, e nella vita, con le mie scarpe e il mio berretto entrambi di colore rosso, sperando che quello che mi resta da fare, da vedere correndo o camminando sia sempre così pregno di profumi, di colori, salite, curve e speriamo anche qualche riposante discesa.

domenica 22 novembre 2020

Un Re dalla corona di legno

 

Il re dell’Intero Universo?


Oggi si chiude l’anno liturgico. Un anno molto particolare per tanti motivi, primo tra tutti naturalmente, questo distanziamento dovuto al virus,ma non solo per questo. Tutta la Chiesa in questi tempi viene continuamente scossa da tante situazioni che le rendono vita difficile sia internamente che dall’esterno. Vengono attaccati i suoi principi etici, viene messo in discussione tutto il suo magistero perché la mentalità dominate non accetta la dottrina nella sua ortodossia. Nonostante tutto noi continuiamo a rivolgerci al Signore come nostro Re e sono passati ormai duemila anni dalla Sua comparsa sulla terra. Perché la figura di Cristo ancora oggi è così controversa? Ho provato a darmi una spiegazione plausibile, e sono arrivato ad una mia conclusione, naturalmente limitata e parziale, dati i pochi mezzi della mia mente bislacca.

Da quando l’uomo ha cominciato a vivere in comunità, sin dai tempi remoti, qualcuno ha sempre prevalso sugli altri conquistando il potere. Divennero re, a volte imperatori e si mostravano al popolo ostentando la loro supremazia con dei simboli visivi. Anche oggi è così negli stati dove regna la monarchia. Non è semplicemente una manifestazione di ricchezza, ma proprio una barriera che separa il popolo da un capo che, vuoi per dinastia, vuoi per una scalata personale, crea un limite invalicabile. Questi simboli sono sicuramente due e sono praticamente uguali per tutte le monarchie. Inutile soffermarci più di tanto; la corona e lo scettro sono i simboli indiscussi del re.

Eppure, tutte le monarchie, prima o poi sono destinate ad essere rimpiazzate. Cadono, vengono ristabilite, alcune vengono addirittura cancellate dalla memoria storica, esempio quella egizia di Akenathon, il faraone che volle promuovere in Egitto il culto dell’unico Dio e che per questo, alla sua morte, fu cancellato da tutti i memoriali storici del popolo, perfino ogni sua effige dai monumenti.

La corona è il simbolo della regalità, e deve essere imponente, addirittura pacchiana, ricoperta di pietre preziose che indicano l’ indistruttibilità del casato, ma soprattutto deve essere di oro, il metallo dei re.

Purtroppo però la corona può passare da una generazione all’altra, ma non può dare l’immortalità al singolo regnante che resta pur sempre un uomo finito.

Il nostro Signore invece non ha scelto questo metallo per la sua vita e se pure nei vangeli si parla di alcuni doni a lui fatti in questo materiale, non lo ha utilizzato come simbolo del suo messaggio.

Il materiale che lo ha accompagnato per la Sua vita in questo mondo è stato il legno.

Quando si parla della mangiatoia, io la immagino di legno, il suo lavoro era il falegname e quando ha dovuto scegliere la sua corona ha scelto quella di spine, di legno anche quella evidentemente.

Davanti a Pilato fu visto come un re da burla con una corona e uno scettro che lo denigravano eppure, il Suo Regno è ancora forte e saldo.

E il segreto è poprio lì! Tutto quello che è ostentazione, simbolo di ricchezza e potere è ambito, invidiato, voluto, ma tutto quello che è umiltà, povertà e perfino dolore, resta lì non lo vuole nessuno, non è agognata la povertà. E così Nostro Signore ha fondato il Suo regno su un pilastro che nessuno avrebbe mai voluto scardinare. Nessuno dopo di lui ha voluto una corona di spine in testa ed è per questo che il Suo regno è e resterà sempre inattaccabile, eterno. Dio non pensa secondo il nostro modo, ci supera in tutto. Chi vorrebbe morire oggi e in qualsiasi epoca per fare del bene ai propri persecutori, ai propri aguzzini?

E così una corona di legno usata come simbolo d’infamia è diventata il vero simbolo di un regno eterno di salvezza per tutti i popoli. Solo Dio poteva pensare ad una cosa simile, questo pensiero non può essere umano. E se da un lato i detrattori della Chiesa continuano a non voler capire dall’altro nessuno può togliere il potere a questo Dio perché non sulla ricchezza è basata la sua Potenza, ma sul perdono e sulla carità pagata con la sofferenza.