domenica 27 dicembre 2020

Considerazioni natalizie : Un Dio psichiatra e un pianeta da vaccinare

 I paradossi del Natale.



Quest' anno resterà nella storia,questo lo sappiamo, per questa pandemia,per il senso di impotenza che ci ha procurato, per i paradossi dell'esistenza che ci hanno visto testimoni. Non sono semplicemente pensieri di una mente-bislacca ma una verità di cui tutti siamo consapevoli. Una entità così piccola, infinitesimale come può essere un virus, ha messo in ginocchio un pianeta intero. L' economia, la salute, i punti che fino a qualche mese fa ci sembravano fissi, tutto messo in discussione e noi ancora una volta qui, in casa "arrestati", fermati ai domiciliari. Natale con i tuoi...ma pure questo detto in questa ricorrenza deve essere rivisitato. "Natale con i tuoi congiunti conviventi". E si, abbiamo imparato anche ad usare questa parola: "congiunti". Prima era depositata solo in qualche dizionario, adesso è diventata di uso comune. La prima volta che l' ho ascoltata in politica fu nell' insediamento del primo governo Conte quando per riferirsi al fratello del presidente Mattarella il presidente del Consiglio lo indicò in questo modo:"congiunto".( Lo dico io: Piersanti Mattarella, morto per mafia!). Da allora questa parolaccia è entrata nel nostro lessico e speriamo di poterla farla ritornare nei dizionari e nel dimenticatoio ( fosse per me la cancellerei proprio!).

Così abbiamo trascorso questo Natale in maniera particolare, e perfino il mio presepe, ancora più spartano del consueto rispecchia il modello del nuovo DPCM con Il piccolo Gesù e i suoi "congiunti", Maria e Giuseppe e un solo pastore che gli fa visita a distanza di sicurezza, quattro in tutto.

A parte tutto questo è stata una festa in attesa di un vaccino che insieme al Bambinello di Betlemme potesse portare una luce di speranza. La speranza, anche questo un paradosso. In questo periodo, un ministro della sanità col nome di una virtù teologale e che paradossalmente mentre si rinnova il ricordo nella Natività si congratula per aver fatto in modo di rendere accessibile a tutte le donne in gravidanza fino alla nona settimana la pillola abortiva. Stranezze umane!

Adesso però il Vday c' è stato, la vaccinazione è finalmente disponibile e sorge un altro problema paradossale: convincere tutti che bisogna vaccinarsi. Ora io davvero quando penso a Nostro Signore lo immagino con una pazienza infinita. Lo abbiamo pregato per quasi un anno di liberarci dal covid, bestemmiandolo pure, in alcuni casi, per avercelo mandato e adesso che ci offre la cura molti la vogliono rifiutare.

Allora il problema non è questo anno, perché gli anni sono solo numeri che si susseguono per contare le rotazioni della terra intorno alla sua stella. Il problema.siamo noi umani, siamo noi pieni di paradossi esistenziali e bipolari! Così sono arrivato a una conclusione, che tra tantissime peculiarità del nostro Dio: Provvidenza, amore, perdono, libertà, pazienza, in questo anno se n'è aggiunta ancora una, o meglio sono io che l' ho notata solo adesso: la Sua attitudine ad essere anche un bravo psichiatra. Altrimenti non si spiega...

E prima di un cura per un virus abbiamo tutti bisogno di tornare da Lui e metterci in analisi.

...che poi il bislacco sono io!

martedì 22 dicembre 2020

La Madonna nel carretto

 Anche questo è Natale...



Stasera una passeggiata per le vie del centro e una piacevole sorpresa: un presepio, credo di carta pesta o legno, nella piazza del paese.
Nel complesso molto piacevole e tradizionale, cosa non poco scontata di questi tempi. Tutto bello, bella scenografia, belle luci, bei costumi.
Però se proprio dovessi fare una piccola critica direi che è la prima volta che mi capita di vedere una Natività che si compie in un carretto.

Si la Madonna è stata sistemata in un carretto antico in attesa del parto in posizione quasi verticale. Mi pare quantomeno scomoda come posizione anche un pochino irreale direi anche perché tradizione vuole che la Santa Vergine stia vicino alla mangiatoia a cullare il suo piccolino. ( Lo scenografo deve essere un po' bislacco come me)
Comunque va bene lo stesso i personaggi sono quelli classici perfettamente riconoscibili e tutto il complesso mi piace. Tutta la città comunque è molto illuminata, anche se continuo a dire che questi addobbi poco si addicono allo stile del nostro centro, mi sembrano più adatti ad un centro abitato più moderno.Ci prendiamo quello che passa il convento, anche perché il tutto da un senso di festa che migliora un pochino il morale dato i tempi che viviamo. 
Comunque io la Madonna nel carretto non c'è la vedo proprio...mah!

venerdì 18 dicembre 2020

Dio esiste?

 Un' interpretazione bislacca...



Un uomo, molto devoto, che credeva in Dio fortemente e aveva speso tutta la sua vita a lodare Dio e a comunicarlo agli altri, una mattina si svegliò e mentre rifletteva tra se e se fu assalito da un piccolo dubbio. La domanda che gli si insinuò nella mente era: ”Io so che Dio esiste, da una vita intera lo credo, ma se io avessi torto?” Questo pensiero crebbe in lui in maniera sempre più penetrante tanto che ebbe bisogno di soddisfare questa sete di conoscenza. Lì vicino sapeva che l’ illuminato Gautama Syddharta, il Budda, avrebbe potuto rispondere a questa domanda per cui di buon mattino vi andò. Il Budda era sotto una pianta su un’ altura e sotto di lui, più a valle, un notevole numero di devoti che più o meno cercavano risposte a domande simili. Lui si mise nell’ ombra dove non poteva essere riconosciuto e aspettò che Gautama lo notasse. Il Bubba a un certo punto aprì un occhio lo guardò e molto amorevolmente gli chiese cosa desiderasse. 
“Dio esiste?” gli chiese, e il saggio seccamente gli rispose “No”. Allora tutte le persone che stavano in basso cominciarono a vociferare, chi per la gioia, chi per delusione ma tutti convennero che il Budda avesse finalmente dato una risposta e cominciarono a festeggiare. L’ uomo andò via perplesso e un po’deluso ma in fondo anche lui aveva saputo la risposta. Siddharta richiuse gli occhi e continuò la sua meditazione.
Un altro uomo più tardi, un ateo convinto, anche lui pieno delle sue convinzioni tanto da aver basato la sua vita sulla certezza dell’ assoluta mancanza di un Dio, cominciava a farsi delle domande strane. Era certo della inconsistenza della teoria divina eppure un piccolo dubbio si insinuò nelle sue certezze. Se Dio fosse reale, se davvero potesse esserci da qualche parte un’ entità diversa capace di giudicare la vita umana e le sue azioni, allora lui si sarebbe trovato in una situazione davvero difficile dato le sue convinzioni. Aveva bisogno di sapere, e presto! Era venuto anche lui a conoscenza della presenza dell’ illuminato. Anche lui si mosse e la sera stessa si recò dal saggio che ancora era in meditazione, mentre tutta la folla ancora era intenta nei festeggiamenti. Rimase in piedi in attesa. Siddharta percepì la presenza, aprì un occhio lo osservò e gli chiese cosa volesse. 
“Dio esiste?” Chiese l’uomo e la risposta fu secca ancora una volta: “ Si, Dio esiste”.
Tutti i convenuti allora emisero un boato di disappunto, erano di nuovo al punto di partenza. L’ uomo tornò a casa anche lui deluso ma con una risposta alla sua domanda.
Il perché ancora oggi in oriente si racconti questa storia, dopo tanti secoli, sta a significare che ancora una risposta definitiva e uguale per tutti non siamo riusciti a trovarla. In realtà la parabola termina con un terzo uomo che con la stessa domanda non riceve risposta eppure ritorna a casa appagato e non deluso a differenza degli altri.
La cosa è molto simile ad un avvenimento evangelico molto forte. Quando Pilato chiede a Gesù cosa sia la verità. In cambio riceve il silenzio.
Quel silenzio spetta a ognuno di noi riempirlo perché Dio non è qualcosa che si possa “raccontare”. L’ esperienza del divino è personale. La vera risposta è nella ricerca; se uno crede o non crede si trova psicologicamente nello stesso stato. La ricerca invece apre la strada per la scoperta. 
Un vecchio detto dice “ Chi si mette in cerca di Dio lo ha già trovato”. I preconcetti non portano alla verità. Per trovarla occorre aprirsi al mistero. La strada resta sempre lunga e difficoltosa perché si tratta di conoscere qualcosa che la mente non può assimilare senza un aiuto esterno e illuminato. Gli uomini della storia hanno le loro certezze ma vengono disarcionati dalle loro convinzioni da un piccolo dubbio. La ricerca deve partire dall’ umiltà di sapere di non bastare a se stessi, abbracciare il mistero quindi per essere illuminati dall’ alto.

giovedì 17 dicembre 2020

la confort zone...un appoggio per piccioni

 

Piccole evasioni tra le routine della vita…



Lasciare la sicurezza di un angolo comodo della mente per affacciarsi all’ignoto può spaventare ma è l’unica cosa che affrontata può dare una spinta maggiore al corso degli eventi.
Devo dire che realmente i momenti di crescita sono proprio quelli in cui si lascia la tranquillità della zona di confort. Ci creiamo zone della mente, angoli in cui rifugiarci, dove stiamo tranquilli e possiamo controllare tutto, eppure, a volte inevitabilmente abbiamo la necessità di spostarci verso qualcosa di ignoto, un viaggio, un nuovo lavoro, una situazione inaspettata, un problema da risolvere e allora la cosa ci sorprende e ci mette nel panico per la paura di quello che possa accadere. In realtà superare la barriera della nostra insicurezza ci aiuta a crescere e affrontare nuove situazioni ad avere un bagaglio di conoscenze più pieno.
“Impara l’arte e mettila da parte” recita un antico adagio e per farlo occorre superare la routine della quotidianità. Anche fare sempre un’unica attività in maniera monotona diventa un “luogo chiuso” dove ci si rifugia per non compromettersi con altro. Tutto questo però non si può definire una vita piena e libera perché anche mentalmente ci si può incarcerare in convinzioni, luoghi, o situazioni. Sono spazi angusti dove la mente (sana o bislacca che sia) e poi tutta la persona non ha libero movimento, si atrofizza, si calcifica ogni sentimento di libertà.
La cosa non è facile, occorre un forzatura sulla nostra volontà che tenta sempre di rimanere al calduccio in un angolino comodo. Mettere in conto anche un eventuale fallimento, ma riuscire a farlo, mettersi in gioco diventa evasione che si trasforma in esperienza. Per questo la nostra crescita è l’insieme di tutte le nostre evasioni tra una routine e l’altra.
La proposta quindi, in tutti i settori è quella di provare sempre nuove cose finché siamo in grado di muoverci, camminare, guardare e usare tutti i sensi.
Vorremmo a volte rimanere in una condizione tranquilla e sicura ma noi non siamo statue. L’altro giorno vedevo un video in cui un uomo, un artista di strada, si esibiva nel numero della statua vivente. Truccato come il bronzo, si muoveva solo quando qualche ragazzino curioso gli offriva qualche spicciolo. Tra un movimento e l’altro rimaneva perfettamente immobile tanto che dei piccioni, gli si posavano addosso come se davvero fosse una statua di metallo fuso. Ecco questo è proprio il male peggiore che possa capitarci, essere, diventare o venire considerati delle persone addormentate alla vita. Ogni occasione per vivere, quindi, che non viene usata, è irrimediabilmente persa. Non è bello essere un appoggio per piccioni.

mercoledì 16 dicembre 2020

La felicità...un atto rivoluzionario

Una rivoluzione bislacca...




  Oggi mi sono imbattuto in questa frase e mi ha davvero sorpreso, per meglio dire mi ha sorpreso la reazione che ho avuto nel sentirla. Come possa essere vera questa affermazione? Perché la persona che l’ ha pronunciata ha sentito questa necessità? Allora mi sono chiesto che cosa sia la felicità. Sarà forse non avere nessuna necessità insoddisfatta? Essere sempre gioiosi in tutto quello che capita? Forse non è poi così semplice dare una risposta esauriente. Se la felicità fosse esaudire ogni richiesta materiale non dovrebbero esserci benestanti infelici e invece molte volte mi pare che siano proprio i più ricchi ad essere i più scontenti, forse proprio perché la sete di novità non si arresta mai, alzando sempre più l’ asticella del piacere. Oppure potremmo pensare di essere sempre gioiosi e cercare di mantenere un livello alto anche nelle situazioni più cupe. Forse sì ma questo è facile solo in teoria mentre la vita mi ha insegnato che di fronte alle difficoltà tutto diventa più difficile, soprattutto sorridere.

Il fatto è che guardandomi attorno, frequentando le persone sia realmente che attraverso i media, sento sempre più, intorno, questa presenza quasi palpabile di insoddisfazione profonda, di mancanza di serenità. Naturalmente non parlo in maniera specifica di questi ultimi tempi, sicuramente la pandemia non aiuta col distanziamento e questa cappa di preoccupazione che porta con sé e che ci opprime. Parlo in senso più generale di una società che non riesce più a ritrovare se stessa forse a inseguire i suoi sogni e la sua realizzazione.

Perfino gli odiatori sociali dei social media riversano su tutto quello che incontrano, una sofferenza repressa evidentemente, un male di vita profondo che fuoriesce in un mondo virtuale perché probabilmente non può farlo nella quotidianità. Quindi tutto viene omologato da questa voglia insoddisfatta di felicità che l’ umanità tutta cerca ma non riesce ad ottenere. Così tutti ci ripieghiamo su noi stessi sul nostro insoddisfatto bisogno di gioia. E non ce ne curiamo più ci assuefacciamo a questa sensazione rimanendo quasi inconsapevoli tristemente incompiuti. 

Quando quindi qualcuno decide di elevarsi da questo stato, da questo triste piattume monocromatico e cercare un senso più alto della propria vita, di una realizzazione ( perché siamo fatti per essere felici, per cui questo è un modo per realizzarsi nella vita) viene visto, un po’ in maniera alienata come fosse una rarità.

Davvero allora cercare la felicità diventa un modo per essere alternativi al sistema e ricercarla una vera rivoluzione dei costumi e delle attitudini.

La cosa mi fa riflettere e compiacere di non essere l’ unica mente-bislacca ma di essere in buona compagnia.

L’ augurio che posso fare quindi in questo periodo è di diventare dei rivoluzionari, pacifici, cercando di realizzare lentamente i nostri sogni nella nostra vita cercando così la felicità, quella vera, forse non ci riusciremo pienamente ma mettersi in cammino è già qualcosa…


domenica 13 dicembre 2020

Lamentazioni...di naufraghi tra sciacalli e presepi

 Mi sposto il berretto…


Una settimana, quella che è appena trascorsa molto impegnativa. Sembra quasi che quest’ anno, che sicuramente non dimenticheremo, voglia essere ancora più certo di lasciare un segno profondo del suo passaggio. In una settimana la morte di un simbolo italiano del calcio e non solo, con il tragico epilogo, anche di cattivo gusto del furto nella sua abitazione, la pseudo crisi di governo che mette ancora di più in discussione l’ affidabilità di chi ci sta traghettando tra i marosi di questo periodo così assurdo e ancora le polemiche sulle parole del Papa e su un presepe “particolare” che molti non si aspettavano di vedere in piazza San Pietro. Tutto partecipa ad aumentare un grande caos che ci lascia sospesi senza un punto d’ appoggio di una qualche minima certezza. Adesso una nuova crisi di governo che si prospetta all’ orizzonte con una nuova possibilità di un altro rimpasto governativo, il terzo, che davvero ci lascia senza parole, senza senso, senza nessuna prospettiva. Navighiamo a vista, controcorrente, soli.

La mia personale sensazione è di sconforto per tutto. Da ogni parte mi possa voltare non vedo spiragli di luce, seppure la mia indole speranzosa mi indica di cercare ancora, oltre il buio dei tempi, oltre l’ ignavia di una classe politica dirigente che non ci sa portare da nessuna parte e che ha mollato l’ ancora del proprio tornaconto, se non economico, sicuramente politico ed elettorale.

L’ Italia è ferma con le quattro frecce e aspetta che venga il miracolo, di un vaccino forse, di una ripresa tour court o dell’ intervento di Gesù Bambino che possa cambiare le cose.

E non voglio pensare alla politica estera che da un anno a questa parte vorrei sapere dove stia di casa.

E noi, italiani, in casa ad attendere, anche noi, non sappiamo bene cosa, che passi, che si possa tornare ancora ad una vita normale, a quelle cose cioè, che ci mancano tanto ma che non facevamo neanche prima: abbracciare gli anziani, andargli a trovare nelle case di riposo dove li avevamo parcheggiati in attesa di…tempi migliori, curare e prenderci cura dei più bisognosi di affetto e di  condivisione. E intanto ci riversiamo  tutti sui social a condividere articoli che neanche leggiamo perché l’ unica cosa che ci interessa è il numero dei pollici in su e di essere sempre e comunque contrari a tutto.

Abbiamo bisogno tutti di ritrovare una via di speranza, una lucina che ci faccia risalire  in superficie a respirare, perché non è vero che sia  la mascherina a toglierci il fiato o a danneggiare la salute, queste sono fandonie da complottisti da strapazzo. La vera apnea che ci sta soffocando è questo allontanamento dalla verità dei fatti, questa voglia perversa di dietrologia, che ci possa essere sempre e comunque un complotto alle nostre spalle, per danneggiarci, controllarci e toglierci una libertà della quale, a pensarla bene ci stiamo privando da soli. In fondo siamo noi che aumentiamo i contagi, con la nostra abitudine a non rispettare mai le norme e gli altri, a creare uno stato di terrore verso tutto e infine eleggendo persone del tutto incapaci di affrontare questi problemi ma che in fondo ci rappresentano perfettamente. 

Ma questo è solo uno sfogo di una mente-bislacca che ha avuto una settimana pesante, dispiaciuto per la morte di un grande campione che ha sempre considerato un modello di tenacia e che si è visto offeso nel giorno del suo funerale( sciacalli!). Dispiaciuto di vedere in TV notizie di ancora tanti morti mentre i politici pensano solo alle poltrone e agli inciuci di potere, dispiaciuto infine di vedere la propria religione usata e deturpata per fare like sugli  a- social network, da ignoranti che gettano sempre fango su tutto e tutti.

Pardon, mi rimetto il berretto e la faccio finita!


sabato 12 dicembre 2020

Le comari dei comizi...

 Complotti senza prove...


Uno dei mali di questa nostra età è sicuramente il proselitismo e non solo quello religioso. Parlo di tutto il panorama della vita, delle ideologie, del pensiero. Questa voglia di convincere sempre gli altri delle proprie idee a forza di parole senza mai addurre una qualsiasi prova di ciò che si sostiene, lo reputo un male grave che confonde in maniera pericolosa il vero con verisimiglianza.

Negli ultimi tempi sono apparsi tantissimi movimenti ideologici, etici o pseudo tali  che io reputo molto pericolosi. Dai no Vax ai no global passando per i complottisti cercano di svenderti le loro idee a volte davvero strampalate e i social  potenziano il fenomeno in maniera esponenziale arrivando a toccare perfino l ' incolumità delle persone che convincendosi di astruse teorie decidono di non vaccinarsi e rischiare anche la salute. Senza parlare degli attivisti dei partiti politici che ti propinano il loro cosiddetto “nuovo che avanza” che poi in definitiva, come ci ha sempre dimostrato la storia, di nuovo ha sempre molto poco. Sono i testimoni di Geova delle politica che vengono a bussare alla tua tranquillità e la sconvolgono con le loro idee tracciandoci intorno anche un velo di pericolosa paura. 

Io non sono contro le idee alternative, contro le nuove teorie e neanche contro la voglia di verità lì dove sembra offuscata o addirittura occultata. Tutto quello che si deve proporre però deve essere giustificato con prove alla mano e sul campo dialettico. Chi si mette in cattedra e fa comizi non può che avere ragione se non viene contraddetto da un alter ego che lo possa confutare. Così si ascoltano e si leggono post che mettono addosso paure infondate senza un briciolo di prova circostanziata sulla sanità pubblica, sui dispositivi di sicurezza sull’ esistenza stessa di un virus che realmente ha ucciso senza nessuna pietà 60000 persone.  Tutto questo è inaccettabile, oltre ad essere una gran rottura di scatole perché se hai un minimo di sensibilità, prima di mandare tutti a quel paese, sei costretto ad ascoltare le loro dabbennaggini e quando cerchi di commentare  in maniera sobria ed educata ti dicono che il tuo parere non è necessario alla loro missione. Certo che non lo è! A loro non importa capire le situazioni vogliono solo dare fastidio perché chi non ha altri mezzi intellettuali può solamente essere bastian contrario e gettare fango su tutto. 

Ma di una cosa sono sicuro, seppure io sia solo una mente-bislacca, mi dispiace per tutti i complottisti, gli anti mascherina, i negazionisti ma non riuscirete a mettere tutti in una coltre di diffidenza e di pura. Continuate pure a parlare da soli o tra di voi quattro gatti. Per affermare un’ idea ci vogliono prove e passione e non il proselitismo, quello conquista solo gli ignoranti e i poco provveduti.


martedì 8 dicembre 2020

Se la Speranza è l' ultima a morire...

 Chi visse sperando...


Recitava una frase dei Litfiba di qualche anno fa. Effettivamente questa frase si sente molte volte. Un adagio che viene pronunciato spesso, a volte senza comprenderne il senso vero.

La Speranza, virtù teologale senza la quale tutta la vita appare più cupa e senza motivo. Certo è così, senza la speranza ogni azione diventa fine a se stessa, senza risvolti positivi nel futuro. In realtà la speranza è una finestra aperta sul divenire, ci fa pensare al domani, a quando la situazione momentanea difficile si risolverà e in ultima istanza ad una vita migliore oltre questa passeggera, fallace, caduca.

Inevitabilmente invecchiamo, inevitabilmente le forze si affievoliscono ma la virtù della speranza ci corrobora facendoci pensare a una meta da raggiungere o a un miglioramento, comunque, della situazione attuale. 

Si nasce, si vive, ognuno col suo fardello da portare di ricordi, di vissuto, di dolori e gioie e infine si muore a questa vita e la morte più brutta è quella disperata. I teologi dicono che al termine della vita il “male” , sferrando il suo ultimo attacco, ci faccia vedere tutto il nostro vissuto, quello degli sbagli, dei peccati cercando in ultima istanza di strapparci proprio lei, questa consapevolezza di essere amati da Dio comunque, se ci riesce tutto frana perché senza Speranza crolla anche la fede e senza di essa ci si allontana dalla Carità che come dice San Paolo è  l’ unica che rimane in eterno.

Il detto “la speranza è l’ultima a morire”, quindi, non è giusto perché la speranza è il motore della vita stessa, essa  le dà senso perché ne conserva lo scopo. Il  colore che le è stata attribuita infatti il verde quello della natura, della vita ma anche del IV Chakra, il Chakra del cuore che gli indiani chiamano Anahata, in sanscrito vuol dire “non colpito”. Chi mantiene la speranza non può essere colpito e non viene atterrato.

È un dono che il Creatore ci ha fatto. Sin  dalla creazione del mondo aspettavamo il Messia, quando è arrivato ci ha promesso terra e cielo nuovi, tutto è speranza quindi fa parte di noi. Non è semplicemente un’ elucubrazione di una mente-bislacca è una realtà da custodire nel cuore e nella mente. L’ ateismo ha proprio questo morbo in sé, riesce a togliere lo scopo della vita, i due ladroni ai lati della croce avevano tutto in comune ma in una cosa differivano, uno muore disperato l’ altro no e questo cambia tutto il corso e il senso della loro vita. 

Non facciamoci carpire la speranza, ci saranno cielo nuovi e tempi nuovi.


domenica 6 dicembre 2020

Nel deserto per un Natale più vero.

 Una voce che grida di preparare la via



Io non sono in teologo( come potrebbe una mente-bislacca), ma da appassionato della sacra scrittura ho notato un particolare interessante che riguarda le letture di oggi. Il testo riguarda la figura del Battista ma ha come risvolto la nostra vita e il nostro atteggiamento in questo periodo dell’anno. In realtà i tempi cosiddetti forti servono soltanto a puntualizzare la  nostra attenzione, ma l’ atteggiamento dovrebbe essere quello tutti i giorni. Si potrebbe usare una famosa frase di Jovanotti “O è Natale tutti i giorni o non è Natale mai”. 

La mia considerazione parte dalla figura di San Giovanni Battista che viene considerato da tutti oramai il “Battistrada” di Cristo, proprio perché Gesù stesso lo indica come suo precursore quando utilizzando le parole del profeta Isaia lo definisce “Una voce grida nel deserto”.

Il Brano in questione è tratto da un discorso più ampio del profeta che è un canto di speranza, per la prossima venuta del liberatore, molto bello tra l’ altro da leggere perché ridona la speranza agli oppressi di tutti i tempi. La cosa da notare però è che la frase utilizzata da Gesù non è esattamente la stessa, o meglio, le parole sono le stesse ma la punteggiatura è differente. Piccole cosmesi della lingua che cambiano totalmente il soggetto è il significato di tutto il contesto. La frase originale del vecchio testo è: “Una voce grida: nel deserto preparate la via del Signore”. Incredibile come due piccoli punti trasferiscono l’attenzione e il destinatario della frase. Nella prima, quella di Cristo, la voce ( il Battista) grida nel deserto, nella seconda, la voce gridando indica dove si deve preparare la via. Gesù nella sua sapienza ha adattato la parola antica per indicare una persona, ma letta nella versione originale diventa un insegnamento per tutti. Qui si tratta di un atteggiamento per ricercare Dio, un luogo dove poterlo trovare. Il deserto è la scappatoia, il riparo dalla mondanità.   Nella Scrittura molte volte si ricorre a questo luogo reale o figurato che sia per spegnere i rumori del mondo, ritrovare se stessi e la pace. In tutte le religioni, le filosofie si ricorre a questo rifuggire dal mondo per ritrovare il proprio centro perché è lì l’albergo di Dio, in questo luogo possiamo trovarlo sempre. La solitudine della meditazione, del Rosario, dei Mantra, per ritornare al centro e “ascoltare la voce di Dio”, preparargli una strada, spianare i sentieri per poterlo incontrare.

Come dei piccoli punti possono sviluppare una così immensa moltitudine di pensieri è già qualcosa di infinitamente affascinante permette ad uno “scriba di tirare fuori cose vecchie e cose nuove” come dice Gesù. È la parola di Dio che pur rimanendo immutata si concretizza nel presente e diventa contemporanea e nuova.

Lasciamoci trasportare in questo luogo quindi, spegnendo i rumori e le “caciare” del mondo nelle profondità del deserto, del silenzio e della preghiera. Sarà per tutti un Natale più bello 


sabato 5 dicembre 2020

Attacchi scenografici tra sacro e profano

 Un Natale evidentemente particolare



In questi giorni visitando una chiesa del mio paese ho visto una cosa interessante, sulla quale si può ragionare abbastanza credo. Ho notato che sul presbiterio oltre al comune presepe che normalmente tutte le parrocchie mostrano, era stato allestito un enorme albero di Natale. La cosa all’ inizio mi è parsa alquanto strana, perché un po’ tutti i sacerdoti preferiscono mantenere e divulgare la tradizione del presepe rispetto a quello più mondano dell’ albero. Poi ho pensato che il presbitero avrà voluto con questo attacco scenico-coreografico dare una interpretazione visiva di quello che sta succedendo al Natale dei nostri giorni. La scena così come la si può vedere sicuramente vuol essere un messaggio allegorico del fatto che il consumismo offusca la visione del Signore, infatti in tutta la parte destra della chiesa il Tabernacolo è assolutamente nascosto alla vista dei fedeli, occultato dietro a questo addobbo che stride fortemente col contesto liturgico.


Quindi devo rilevare che esiste oramai un nuovo modo di fare religione e forse catechesi, meno parlato e più visivo che ha un impatto maggiore  sulla comunità, un parlare per immagini che arriva dritto al punto e trasmette considerazioni sulla realtà rapportandola al contesto religioso.

Ma si sa che io sono una mente-bislacca e anche un po’ antiquato probabilmente che ancora crede che la chiesa non sia un teatro e l’ altare un palcoscenico, diciamo che io sono a favore dei metodi più tradizionali. L’ altare è il luogo dove si fa memoria della mortificazione e risurrezione di Nostro Signore e dove la mondanità non dovrebbe entrare così facilmente. È una questione di gusti e a me non piace vedere che un simbolo così francamente consumistico sia messo così in primo piano davanti al Santissimo Sacramento che dovrebbe essere al centro dell’ attenzione e ben visibile a tutti.

Io proporrei l’ albero almeno in sagrestia, e il presepe accanto alle cose sacre. Sacro con Sacro, profano con profano…


giovedì 3 dicembre 2020

Di giusti, di orge …e di sepolcri imbiancati.

 Guai a voi scribi e Farisei…


I rappresentanti del popolo a volte mi lasciano perplesso, per il loro operato, per il loro modo di fare e di parlare. Ogni tanto, però, c’ è qualcuno che eccelle nelle sue attività e mi induce, per forza, a fare qualche piccola riflessione su dove stiamo andando, o meglio, su dove ci stanno portando. Se pure il mio blog non è giornalistico ma solo un archivio delle mie memorie, di una mente-bislacca, che in realtà scrivo più per me stesso che per un eventuale malcapitato tra le mie righe, questa volta mi urge commentare una notizia di questi giorni davvero “esilarante” o forse dovrei dire grottesca.

Il fatto in sé stesso non mi stupisce ma mi ha fatto riflettere su un concetto importante della cristianità: la credibilità.

Mi hanno sempre detto che alla fine dei nostri giorni saremo giudicati non tanto sul fatto di essere stati credenti ma piuttosto se siamo stati credibili, soprattutto noi che ci consideriamo “praticanti” e ne siamo così sicuri da fare la morale agli altri. Ora, quando Gesù è venuto nel mondo si è sempre comportato da mite e umile di cuore, ma se c’era qualcosa che lo facesse uscir davvero fuori dai gangheri era da una lato la sclerocardia( parolone che intende la durezza del cuore) e dall’ altra l’ ipocrisia, specialmente di chi si millantava giusto. Il vangelo riporta tante di queste affermazioni del Messia: “ciechi alla guida di ciechi”, “razza di vipere”, “spelonca di ladri”. Ci andava giù di pesante i maestro! Lui conosce benissimo il cuore dell’ uomo e chiunque si eleva a giudice lo fa sapendo di non essere migliore, la colpa quindi è grave.

Nonostante tutti questi secoli la situazione non è che sia migliorata di molto e proprio quelle persone che dovrebbero dare l’ esempio si comportano peggio di tutti.

Pare che un politico ungherese, un puritano estremo difensore dei valori cristiani e della famiglia canonica sia stato segnalato e denunciato ( a causa della violazione delle norme anti-covid) per aver partecipato ad un raduno omosessuale, una vera e propria orgia. Naturalmente il parlamentare è stato allontanato dal suo incarico perché ritenuto “indifendibile” per il covid, per le sue idee violate, per il fatto che ha tentato la fuga, perché trovato persino in possesso di sostanze stupefacenti.

Umanamente, è una persona che ha riconosciuto il suo errore e ha chiesto scusa e per questo ha il mio rispetto, perché lui solo sa la vergogna che starà provando per l’ assurda figura, per lo scandalo( parola che mi riservo di spiegare in un post ulteriore).

Ancora una volta però non posso che fermarmi a riflettere su come i valori cristiani e la politica internazionale stiano in mano a persone che fanno solo male al vangelo e alla missione del cristianesimo. Persone che si elevano al di sopra di tutti i mali del mondo per condannarli a parole per poi dimostrarsi fallaci più degli altri, sepolcri imbiancati pronti a giudicare tutti. Per questo, tutti noi prima di criticare e giudicare dovremmo ricordare la storia della tentata lapidazione dell’ adultera, con la pietra in mano ci siamo noi e spesso ci ricade addosso miserevolmente. Cioè, ti puoi elevare a difensore dei valori cristiani, crociato del puritanesimo, estremo baluardo della moralità, ma prima devi assicurarti di essere credibile, certo di essere non soltanto nel giusto, ma di essere tu stesso “giusto”.

Se giusto non sei…


Matteo 2327.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro so pieni di ossa di morti e di ogni putridume.  Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità.


martedì 1 dicembre 2020

La dipartita di un servo inutile

 Un camaleonte sull’ altare


Avrei volentieri fatto a meno di parlare di questo argomento, preferendo sicuramente qualcosa di meno pesante e doloroso magari, purtroppo però non posso esimermi dallo spendere qualche riga per un evento che mi ha fatto riflettere. La mia comunità parrocchiale purtroppo in questi giorni piange un nuovo lutto e questa volta si tratta di una persona davvero silenziosa, ecco si lo definirei così, è la descrizione più giusta. Il silenzio a volte non è poi così scontato, siamo sempre abituati allo strepitio di tutti quelli che in qualche modo vogliono farsi notare a volte anche in maniera grottesca e quando ci capita qualcuno che preferisce tacere, il suo silenzio lo percepiamo solo quando la persona per un motivo qualsiasi si allontana. Queste sono le persone del fare, quelle che si espongono solo con i fatti, lasciando agli altri la propaganda, il chiacchiericcio. Sono, quelli che il vangelo chiama i “servi inutili”, che non si aspettano nulla in cambio né in ringraziamenti né in  inutili glorie effimere. E se pure nei post precedenti ho parlato della necessità di coltivare ancora il dialogo e l’ ascolto, ecco che ora, bislacca-mente, mi tocca paradossalmente elogiare il silenzio come mezzo di comunicazione.

Il silenzio è un mezzo di comunicazione potente se vuoi “spiegare” un modo di essere, ma è anche un’ arte difficile da apprendere, specialmente per un logorroico peripatetico come me. E quindi ancora una volta mi ritrovo ad imparare qualcosa nella mia vita e per la vita. Il silenzio di questa persona mi mancherà perché col suo semplice fare senza dire, senza parole, ha mostrato a tutti la vera essenza del servizio, riusciva pur restando in vista e in primo piano a scomparire alla vista di tutti, quasi mimetizzato con l’ altare mettendo in risalto l’ unica cosa importante  in una comunità parrocchiale: il Tabernacolo.

È un insegnamento che non sapevo  stessi apprendendo . Me ne sono accorto solo oggi durante la messa esequiale quando ho preso il suo posto nelle sue mansioni. Ho capito che era un passo avanti a tutti perché era invisibile.

Possiamo parlare, discutere anche litigare, ma il vero lavoro non ha bisogno di grossi discorsi, di linguaggio forbito, ha bisogno di mani che fanno. Anche i funerali sono stati spartani e ci ha lasciati, infine, esattamente come aveva vissuto, senza strepiti, senza clamore con un grande dignitoso silenzio…

Un esempio per tutti.


lunedì 30 novembre 2020

La socialità virtuale e la perdita di udito

L'ipoacusia del cuore...


Devo dire che mi sono davvero stupito per la grande quantità di messaggi che ho avuto in questi giorni per il mio compleanno. Davvero in tanti mi hanno fatto sentire la loro vicinanza con i loro messaggi su whattsapp e con i commenti su facebook. La cosa mi ha fatto molto piacere,perché in un momento così particolare, sapere che qualcuno ti stia pensando è molto positivo.

Devo però anche constatare di come, nonostante ci sia stato questo straordinario afflusso di persone verso le mie pagine, in tutta la giornata di ieri non abbia ricevuto neanche una telefonata. Questa cosa, naturalmente, non mi preoccupa però mi ha fatto riflettere su queste socializzazioni virtuali.

Viviamo in un periodo storico molto particolare, questo strano virus, che ho già definito “diabolico”, ci ha praticamente annullato tre sei nostri sensi. Il tatto lo ha annullato col distanziamento, come pure la vista in molte circostanze e l’olfatto, naturalmente parlo di questo riferendomi ai rapporti interpersonali. Ma come se non bastasse tutto questo ci stiamo anche privando del senso dell’udito, noi chattiamo, postiamo, condividiamo, guardiamo ma ascoltiamo sempre meno le persone a noi care, gli amici. Preferiamo lo scrivere al parlare, leggere all’ ascoltare. Il nostro orecchio si sta chiudendo e l’era delle immagini prende sempre più spazio nelle nostre relazioni.

Tutto questo potrebbe anche essere utile se i cosiddetti social fossero usati nella maniera corretta, per fare conoscenza di persone nuove con le quali poi confrontarsi e crescere, purtroppo però non è sempre così. Diventiamo sempre assoggettati psicologicamente alla febbre dei like e così pubblichiamo cose che poco ci interessano o che non rappresentano ciò che siamo e quello in cui crediamo, preferiamo seguire l’onda di quello che piace alla massa. Mi sono accorto che molti condividono articoli dei vari giornali on line senza neanche leggerli, solo perché i titoli, fatti apposta per attirare l’attenzione, possono attirare tanti consensi.

Tutto questo svaluta i mezzi moderni che potrebbero essere davvero un’occasione di crescita nel confronto. Non possiamo fare molto in proposito se non rilevare il fatto e magari incominciare a cambiare il corso della corrente, con piccoli gesti: parlando di più, facendo ascoltare la nostra voce, dando meno per scontato che sia la stessa cosa parlare o condividere un messaggio, è molto meglio prendersi un momento per scrivere un buongiorno con la tastiera piuttosto che mandare un’immagine ad una lista enorme di persone senza nessuna distinzione, ma ancora meglio è usare la voce e comunicare dal vivo, visto che siamo persone reali.

Quindi ringrazio tutti per il pensiero di aver voluto salutare una mente-bislacca come la mia per il compimento dei miei anni sperando che in tempi migliori si possa recuperare tutti i sensi per poterci riunire di nuovo in un stretta di amicizia molto più reale

sabato 28 novembre 2020

Uno scatto di anzianità

 

Il vino migliora invecchiando...fosse vero!

bislacca-mente 49 anni
(Yogs ed età)

E invece no, ad un certo punto della vita, e capita improvvisamente, pare che tutte le cellule del tuo corpo prese da una foga di anarchia totale decidano di fare ognuna di testa propria, senza avvertirti, senza chiederti il permesso. I capelli ti lasciano e i restanti si incanutiscono, alcuni bulbi piliferi invece decidono di impiantarsi imprevedibilmente nei punti più inaspettati, il naso, le orecchie, cose mai viste prima che Blade Runner levati proprio ( “ho visto cose che voi umani...”per chi non avesse capito il rimando), per non parlare dei peli del petto che d’improvviso ti diventano bianchi, ma non interamente o con un senso logico, ma a chiazze! E poi i rumori vari che ti inseguono, i ronzii nelle orecchie, gli scricchiolii nel collo che più che una cervicale pare che nel collo si sia stabilito definitivamente un maraquero con le sue maracas a corredo. La mattina scendere dal letto diventa sempre più fastidioso, srotolarsi per raggiungere una posizione meno imbarazzante di quella fetale può diventare una cosa impervia.

Comunque sia, il tempo passa, le esperienze, belle o brutte che siano, si accatastano giorno dopo giorno in questo schedario un po’ liso della memoria e si trasformano a volte in rimpianto, altre in nostalgia che si affaccia di tanto in tanto e ti ripropone visi di persone lontane partite per mete indefinite.

Nonostante tutto però, la consapevolezza di esserci, di poter osservare ancora volti amici, persone amate di cui prendersi cura e che a loro volta si curano di te non può che riempirti di gratitudine per il semplice fatto di respirare ancora i profumi di una vita che comunque va avanti con i suoi affanni, le sue gioie uniche e irripetibili di ogni istante trascorso a contemplare questo universo che è qui per noi per la nostra soddisfazione per essere ammirato.

Aggiungiamo allora un altro scatto di anzianità al contatore inesorabile della vita, grati per quello che ci passa questa esistenza , le sue sfumature, per le persone che ci sono, per quelle che ci sono sempre state, per quelle che volutamente o meno si sono allontanate ma che comunque hanno lasciato un segno che resta a rumoreggiare nei battiti a volte più chiassosi dello scricchiolio del collo.

Tanti auguri quindi a me per questi quaranta nove amici che mi porto appresso, a questa mente-bislacca che tra le scarpe e il berretto rimane ancora lo stesso sognatore di sempre, l’eterno adolescente che non vorrebbe mai invecchiare e che rimane incastrato spesso nelle sue metafore logorroiche e un grazie a coloro che hanno la pazienza di ascoltare o leggere le facezie che lascio in giro al mio passaggio

venerdì 27 novembre 2020

La balla del libero arbitrio...allacciate le cinture!

 

Il nostro"libero arbitrio"
(Il nostro"libero arbitrio")

Siamo o no liberi di scegliere?

Questa è una domanda che spesso ci facciamo quando parliamo di religione ma anche quando ci muoviamo in altri settori della vita. Siamo realmente noi i protagonisti delle nostre decisioni e meglio ancora, siamo noi a scegliere quello che vogliamo fare o in qualche modo siamo condizionati dall’esterno, dalle altre persone o dalla mentalità dominante? E nella sfera teologica? Siamo cioè davvero liberi?

Per me la risposta è relativamente semplice da dare. Penso proprio di no.

Per tanti secoli la chiesa cattolica ci ha spiegato che siamo creature dotate di intelletto e che possiamo usarlo per accettare o meno la volontà di Dio, che possiamo anche voltargli le spalle ma io leggendo e rileggendo la Sacra scrittura tutto questo non l’ho mai trovato e credo che neanche la chiesa abbia mai inteso questo concetto in maniera così stretta. Naturalmente il viaggio che stiamo per fare deve poi ritornare a dei principi che possano essere condivisibili nel mondo circostante, per cui salperemo dal molo della religione per attraccare alle terre emerse della società in cui viviamo.


Già dai primi passi della Bibbia si legge che l’uomo si ribella al suo Creatore in maniera evidente. Dio gli “ordina” di non mangiare dell’albero della vita e lui puntualmente trasgredisce il comando. In seguito la storia si ripete più volte in maniera diversa ma comunque con esiti per lo più uguali. Ogni volta cioè che l’uomo contravviene ad un comando assegnatogli dal creatore, lo stesso infligge al malcapitato una punizione. Ancora possiamo parlare dei comandamenti, che si chiamano appunto così, perché sono indipendenti dalla volontà dell’uomo di accettarli ed eseguirli. Inoltre a corollario di dette regole il signore dona anche delle pene espiative da eseguire per i trasgressori, fino ad arrivare, per i casi più gravi, alla morte come nel caso della bestemmia o dell’adulterio.

Occorre però fermarci un attimo nella nostra navigazione e gettata l’ancora cercare di scendere un po' in profondità per capire meglio alcuni concetti. Come mai l’uomo ha bisogno di essere corretto, anche punito se poi parliamo di libero arbitrio? Quale senso può avere un atteggiamento simile. Allontaniamoci allora per un momento dalla sacra scrittura, dalla legge ebraica per entrare in un insieme di regole a noi più familiari. Prendiamo come esempio il codice della strada e in particolare la legge sulla sicurezza che riguarda le cinture a bordo. In realtà la legge entra nell’abitacolo del veicolo e ci impone di allacciarle. Se le forze dell’ordine ci dovessero fermare con le cinture non allacciate sicuramente ci verbalizzerebbero una multa salata. Molti non comprendono ancora oggi le motivazioni che muovono lo stato a compiere simili gesti, in fondo la sicurezza riguarda soltanto noi. Fatto sta, però, che la paura della multa ci “obbliga” a proteggerci col dispositivo e in questo modo , in caso di incidente, molte volte anche ad uscire illesi da uno scontro. Tante persone possono raccontare questi fatti grazie ad un riflesso di una legge e per la paura di un eventuale provvedimento ad esso correlato. Diciamo che per i comandamenti avviene la stessa cosa, si parla di inferno, di supplizio eterno, di legge, tutte cose che esulano le nostre libere intenzioni e vanno anche queste viste in un’ottica di salvezza individuale; per raggiungere quello che chiamiamo Paradiso che altro non è che la vita in Dio, bisogna essere santi proprio perché Dio stesso è Santo. Queste regole servono per questo, per non allontanarci e cadere così in un gorgo peggiore che è quello di perdere la possibilità di una vita piena.

Tutto questo naturalmente ha il suono di una lontana campana aleatoria se non la contestualizziamo nella vita di tutti i giorni. A questo punto pensare che il libero arbitrio sia davvero possibile mi diventa davvero complicato da sostenere. Se mi trovo a percorrere una strada a senso unico e raggiungo un bivio con due cartelli che mi indicano per esempio da un lato “Bologna” e dall’altro “ Milano”, posso davvero decidere liberamente la strada da percorrere. Ma se si cartelli mi indiano da un lato “Milano” e dall’altro “STRADA INTERROTTA STRAPIOMBO DI 300 M”, allora avrò si la possibilità di accedere a quella via ma solo se ho intenzioni suicide. Per farla breve, nel secondo caso anche se all’apparenza può sembrare che la decisione possa essere presa da me, in realtà devo sottomettere la mia volontà a quella di chi ha cominciato i lavori o almeno a quella di chi ha messo quel cartello.

In ogni situazione della vita, in ogni contesto ci troviamo: politico, sociale, religioso le regole sono fatte per permettere la convivenza tra le persone e per farle comminare tutte in una stessa direzione, verso un progetto comune. Dal punto di vista religioso il motivo è abbastanza intuitivo in quanto siamo tutti immersi in un progetto di salvezza universale che implica tutti e che prescinde la volontà del singolo. Immaginate se tutti i progetti divini potessero essere messi in crisi da una singola persona che volesse decidere di fare di testa propria. L’intera umanità bloccata con le quattro frecce per colpa di uno o pochi individui ribelli. Il concetto è improponibile già nella sua formulazione. Ma anche in tutti gli altri settori la cosa non è molto diversa, quei pochi anarchici che ogni tanto si affacciano alla storia vengono presto messi a tacere perché il bene comune supera ogni diritto privato alla ribellione, per questo esistono le leggi, per questo esistono anche le punizioni espiative.


In questo periodo così cupo per tanti motivi che viviamo, i negazionisti, i “contrari a prescindere”, i complottisti non fanno altro che procurare malcontento, caos e incertezze che non approdano da nessuna parte, questa non è libertà di opinione né esercitare il libero arbitrio ma solo un vano tentativo di dare fastidio. Urge da parte di tutti un ritorno alla coerenza e alla coesione per uscire insieme al più presto da questa brutta situazione che ci ha fermati ad un angolo.

Ma il mio scopo non era fare la morale a nessuno ma solo portarvi in giro da un lato all’altro della mia mente_bislacca...

giovedì 26 novembre 2020

Da San Paolo a Maradona...strane preferenze italiane

 

Avvengono cose che non comprendo...

Non intendo mancare di rispetto alla memoria di nessuno e soprattutto giacché questo, non vuol essere un blog giornalistico, eviterò di fare una cronistoria della vita di un grande personaggio dello sport del quale ormai si sa praticamente tutto.

Vorrei invece guardare i fatti da un’altra prospettiva, quella di una mente-bislacca naturalmente.

Non voglio certo mettere in dubbio la grandezza di un atleta del calcio come Maradona, lo conosciamo tutti, sappiamo il suo talento, di quello che rappresenta per Napoli e le sue gesta sportive. Se lo si vede ,però , da un profilo strettamente professionale le cose potrebbero sembrare diversamente.

In tutte le professioni o mestieri il compito principale di ogni lavoratore è svolgere tutto nei migliore dei modi, al meglio delle proprie capacità e in questo anche i calciatori sono chiamati alla stessa attenzione, anzi visti i loro esagerati emolumenti, la loro dovrebbe essere davvero una missione di professionalità. Per farla breve diciamo che per un calciatore essere bravo è semplicemente svolgere il proprio dovere nei confronti della società che lo stipendia e degli spettatori che pagano il biglietto.

Fatta questa premessa vediamo di analizzare un fatto. Il Sindaco di Napoli sta decidendo in queste ore di modificare il nome dello stadio di Napoli e cambiarlo da “San Paolo” a “Stadio Maradona”.

Lo stadio in origine si Chiamava “Stadio del Sole” poi modificato con quello del Santo di Tarso.
San Paolo non era semplicemente un bravo teologo, rappresenta anche il peccatore che si converte, l’uomo che si dedica agli altri, la persona che riesce a risollevarsi, ma soprattutto è stato un grande evangelizzatore e molto del nostro modo di pensare, della nostra stessa libertà dipende da lui.

Adesso modificare di nuovo il nome di questo campo, non è cosa facile, almeno non dovrebbe esserlo, occorre un personaggio storico ugualmente di spessore e importante.

Se dovessi giudicare l’uomo prescindendo dal calcio, che come abbiamo già visto, già ampiamente remunerato, non riesco a trovare un solo motivo per questo cambio, anzi trovo che sia una mancanza di rispetto per tutti coloro che tutti i giorni compiono serenamente il loro dovere, senza mancare di rispetto a nessuno, senza essere in vista, tutti coloro che pagano le tasse, che vivono una vita sobria e che non usano sostanze strane…

Insomma non credo ci siano i presupposti per farlo passare alla storia come un grande eroe da emulare. E’ un mio pensiero e non vuol essere un giudizio sull’uomo, ma penso che prima di sostituire un santo con un calciatore occorre pensarci davvero tanto ed assicurarsi che lo stesso sia all’altezza del cambio, in fondo stiamo parlando di uno dei due fondatori della nostra religione.

Se poi penso a tutti i medici che operano e salvano centinaia di vite umane che nnon vengono mai considerati da nessuno, non riesco davvero a capire motivi di queste decisioni.

Ma non badate a quello che penso io...si sa sono bislacco

martedì 24 novembre 2020

Lo diceva Ungaretti, ma oggi più che mai è da condividere.

(Otto anni fa pensavo così e non mi pare sia cambiato molto…)

Siamo tutti in cerca di un sorriso, una carezza su cui poggiare le nostre piccole o grandi miserie. Eppure è così difficile trovare aiuto! Passeggiamo in mezzo a persone chiuse nei paltò del proprio egoismo, anche un sorriso sembra un lavoro impossibile da compiere. Percorro le strade, sempre più trafficate e così deserte allo stesso tempo. Ti accorgi che nel mondo c’è sempre più gente e molte meno persone. Tutti sprofondati nel telefonino, negli affari, nei moduli da compilare, sguardi bassi.
Sapete qual’è la più grande sfortuna dei maiali? Sono incapaci di guardare il cielo, non lo possono fare, guardano solo in avanti e a terra. Ricordo l’episodio del Vangelo in cui il Signore scaccia i demoni e li manda in una mandria di porci, loro volevano andarci perché lì non avrebbero visto il cielo. L’umanità si sta comportando così?
E’ possibile che sia così difficile alzare la testa, guardare gli altri, magari sorridere?
No, siamo troppo presi dalla terra che come una calamita attira gli sguardi rilegando tutti in una prigione di solitudine. Poi ci si illude di avere amicizie sincere con le quali fare colazione insieme, scambiare qualche battuta puerile. Ma quanti sono davvero disposti ad ascoltarti a diventare per te un appoggio per la tua vita per i tuoi sentimenti, per la tua malinconia.
A volte mi chiedo che senso abbia tutto questo. Cercare sempre persone nuove e accorgesi che di te in realtà non gliene importa nulla, tutti cercano di utilizzarti e contemporaneamente si difendono per non essere utilizzati da te. E’ per questo che io ho davvero pochi amici ed è per questo che ne sono così lieto. Non è la quantità che importa ma è il legame che ci unisce che rende la nostra amicizia unica. Persone con le quali puoi rimanere distante anche mesi e che appena li ritrovi, il tuo rapporto con loro ricomincia lì dove lo avevi lasciato, persone sulle quali puoi contare perché sanno che loro possono contare su di te.
In realtà è che ci accorgiamo degli amici sono quando siamo affaticati spiritualmente, quando un piccolo o grande dolore viene ad abitare la nostra anima, perché è proprio in quel momento che senti il peso della solitudine. E’ così, l’ho già detto, l’allegria trova presto dei compagni, ma il dolore… quello no! E’ solo e ci sembra che nessuno possa capirci a fondo. Il dolore è qualcosa di strettamente personale, l’unica cosa veramente nostra, talmente nostra che nessuno per quanto si sforzi può capire con esattezza. A volte si sente questa frase: “Cosa vuoi che sia!”. Ma non c’è un metro per misurare il dolore; ognuno lo vive in maniera autonoma dagli altri, nella propria pienezza, nella pienezza della propria anima. Così tutti veniamo giudicati di esagerazione e tutti pienamente soffriamo le nostre piccole angosce esasperate dall’insofferenza altrui. Questa è la solitudine ed in questo siamo più soli degli eremiti perché, in un mondo che nel suo caos ti avvolge con la sua indifferenza ci sentiamo degli esiliati, mentre chi vive la sua solitudine, fisica, ricercata , riesce ad abbracciare tutti i popoli senza per questo aver bisogno di loro. E’ così inevitabilmente. Allora che fare? Esiliarci dal mondo? Sederci sul cucuzzolo di una montagna, segregarci in qualche clausura in attesa che questo mondo passi?
Non avrebbe senso, una sola è la vita e tutti abbiamo il dovere di viverla appieno, superando le difficoltà e le mortificazioni che ci opprimono la mente, pensando che tutto passa e che è del tutto inutile cercare la soluzione sul pavimento. Alzare la testa quindi e reagire, sorridere in cerca di qualche persona che per noi diventi cara e come una balaustra ci faccia, spassionatamente, appoggiare la nostra malinconia…o questi pensieri di una mente -bislacca.

lunedì 23 novembre 2020

IL running...metafora della vita

 

Da un po' di tempo ho scoperto il piacere di correre.

 Prima non riuscivo a comprendere tutte quelle persone che di buon mattino, buttandosi giù dal letto, si mettono addosso tenute ridicole dai colori più improbabili per andare a sudare, senza un particolare motivo, senza un’urgenza incombente. Pensavo che io non l’avrei mai fatto senza un pericolo di vita impellente o di evacuazione ( il riferimento ai servizi di prima necessità mattutina è del tutto casuale). Poi sono caduto, anche io nel gorgo mentale, del “ci voglio provare”, questo buco nero della volontà che in maniera irrazionale assorbe in se ogni buon senso e ti fa fare cose del tutto assurde che nessun essere vivente pensante farebbe mai di sua spontanea volontà. Così mi ritrovo anche io, la mattina ad orari assurdi, dove neanche il gallo più insonne oserebbe alzare lo sguardo e se lo fa è solo per guardarti con biasimo. a fare esercizi di allungamento per riscaldare i muscoli per evitare strappi che se fossi rimasto a letto al caldo, nessuno ti avrebbe strappato nulla.

E poi correre, correre per chilometri e chilometri, sudare, stancarsi quando potresti benissimo rimanere a russare senza vergogna fino a tarda mattinata. E invece no, non si sa per quale strano meccanismo ci provi e ti accorgi che ti piace e che nonostante la fatica, i dolori ai muscoli, ai legamenti, non riesci più a farne a meno, diventa una droga che poi sai che ti mancherà quando per qualche motivo non potrai perpetuarlo.

La pace, l’aria fresca del mattino, gli odori, i colori che si possono ammirare all’alba sono qualcosa di straordinario che solo chi fa queste uscite può comprendere.

Durante le mie corse, a volte, decido di fissare una meta che sarà la metà del percorso, normalmente uso un antico monumento per girarci intorno. Alla metà del percorso mi capita spesso di avere un certo senso di compiacimento perché so che da quel momento in poi la strada che dovrò percorrere sarà ad ogni passo sempre più breve e potrò finalmente rilassarmi e tornare a casa. Durante la corsa, trovo sempre qualcuno che come me fa la stessa strada, non so chi sia, da quanti chilometri stia sudando, né quanto sia fresco, per cui mi metto a lato della carreggiata e lo faccio passare, in fondo non è più questa l’età di gareggiare con nessuno, non sarebbe utile né per me né per lui, al massimo gli sarei d’ intralcio. Poi penso, però, che in fondo questa sensazione euforica che sto sentendo per aver raggiunto la meta di mezzo non sia poi così giustificata, in fondo nessuno mi costringe a correre, è qualcosa che mi piace che voglio fare io! Così la soddisfazione per i risultati ottenuti, si vela di un senso  sottile di  amarezza per il fatto che presto sarà terminata la corsa.

Così ci ho fatto caso e ho compreso che tutto questo per me ha il valore di una metafora perfettamente applicabile alla mia vita.

Già da qualche anno mi sono accorto di aver raggiunto e superato il “monumento” del metà percorso, ci ho girato intorno e me lo sono oramai lasciato alle spalle. Si, per quanto bene mi possa andare sono consapevole che quello che mi resta da percorrere sarà comunque meno della strada compiuta. Non so ancora quante storte, quanti accidenti troverò per strada, certo molte cose le ho imparate all’andata per cui ho molta più esperienza, forse so come distribuire meglio le energie, il fiato, ma dentro ho un certo senso di amarezza, perché nonostante la fatica, il sudore, i vari acciacchi questo esserci a correre mi piace e mi piacciono le persone che incontro e vedere da lontano anche la loro di corsa, i paesaggi che si presentano ai miei occhi. Pertanto così un po' bislacca-mente continuo a correre sulla strada, e nella vita, con le mie scarpe e il mio berretto entrambi di colore rosso, sperando che quello che mi resta da fare, da vedere correndo o camminando sia sempre così pregno di profumi, di colori, salite, curve e speriamo anche qualche riposante discesa.

domenica 22 novembre 2020

Un Re dalla corona di legno

 

Il re dell’Intero Universo?


Oggi si chiude l’anno liturgico. Un anno molto particolare per tanti motivi, primo tra tutti naturalmente, questo distanziamento dovuto al virus,ma non solo per questo. Tutta la Chiesa in questi tempi viene continuamente scossa da tante situazioni che le rendono vita difficile sia internamente che dall’esterno. Vengono attaccati i suoi principi etici, viene messo in discussione tutto il suo magistero perché la mentalità dominate non accetta la dottrina nella sua ortodossia. Nonostante tutto noi continuiamo a rivolgerci al Signore come nostro Re e sono passati ormai duemila anni dalla Sua comparsa sulla terra. Perché la figura di Cristo ancora oggi è così controversa? Ho provato a darmi una spiegazione plausibile, e sono arrivato ad una mia conclusione, naturalmente limitata e parziale, dati i pochi mezzi della mia mente bislacca.

Da quando l’uomo ha cominciato a vivere in comunità, sin dai tempi remoti, qualcuno ha sempre prevalso sugli altri conquistando il potere. Divennero re, a volte imperatori e si mostravano al popolo ostentando la loro supremazia con dei simboli visivi. Anche oggi è così negli stati dove regna la monarchia. Non è semplicemente una manifestazione di ricchezza, ma proprio una barriera che separa il popolo da un capo che, vuoi per dinastia, vuoi per una scalata personale, crea un limite invalicabile. Questi simboli sono sicuramente due e sono praticamente uguali per tutte le monarchie. Inutile soffermarci più di tanto; la corona e lo scettro sono i simboli indiscussi del re.

Eppure, tutte le monarchie, prima o poi sono destinate ad essere rimpiazzate. Cadono, vengono ristabilite, alcune vengono addirittura cancellate dalla memoria storica, esempio quella egizia di Akenathon, il faraone che volle promuovere in Egitto il culto dell’unico Dio e che per questo, alla sua morte, fu cancellato da tutti i memoriali storici del popolo, perfino ogni sua effige dai monumenti.

La corona è il simbolo della regalità, e deve essere imponente, addirittura pacchiana, ricoperta di pietre preziose che indicano l’ indistruttibilità del casato, ma soprattutto deve essere di oro, il metallo dei re.

Purtroppo però la corona può passare da una generazione all’altra, ma non può dare l’immortalità al singolo regnante che resta pur sempre un uomo finito.

Il nostro Signore invece non ha scelto questo metallo per la sua vita e se pure nei vangeli si parla di alcuni doni a lui fatti in questo materiale, non lo ha utilizzato come simbolo del suo messaggio.

Il materiale che lo ha accompagnato per la Sua vita in questo mondo è stato il legno.

Quando si parla della mangiatoia, io la immagino di legno, il suo lavoro era il falegname e quando ha dovuto scegliere la sua corona ha scelto quella di spine, di legno anche quella evidentemente.

Davanti a Pilato fu visto come un re da burla con una corona e uno scettro che lo denigravano eppure, il Suo Regno è ancora forte e saldo.

E il segreto è poprio lì! Tutto quello che è ostentazione, simbolo di ricchezza e potere è ambito, invidiato, voluto, ma tutto quello che è umiltà, povertà e perfino dolore, resta lì non lo vuole nessuno, non è agognata la povertà. E così Nostro Signore ha fondato il Suo regno su un pilastro che nessuno avrebbe mai voluto scardinare. Nessuno dopo di lui ha voluto una corona di spine in testa ed è per questo che il Suo regno è e resterà sempre inattaccabile, eterno. Dio non pensa secondo il nostro modo, ci supera in tutto. Chi vorrebbe morire oggi e in qualsiasi epoca per fare del bene ai propri persecutori, ai propri aguzzini?

E così una corona di legno usata come simbolo d’infamia è diventata il vero simbolo di un regno eterno di salvezza per tutti i popoli. Solo Dio poteva pensare ad una cosa simile, questo pensiero non può essere umano. E se da un lato i detrattori della Chiesa continuano a non voler capire dall’altro nessuno può togliere il potere a questo Dio perché non sulla ricchezza è basata la sua Potenza, ma sul perdono e sulla carità pagata con la sofferenza.

sabato 21 novembre 2020

 


Sono trascorsi ormai tanti anni dalla mia fanciullezza e dalla mia adolescenza,

forse troppi, non so…comunque mi rendo conto di quanto sia cambiato il modo di frequentarsi dei nostri giovani, i loro giochi, perfino il loro linguaggio. Non so quale epoca sia migliore, quella dove non c’era nulla e tutto si costruiva con le mani oppure quella moderna dove i nostri ragazzi hanno tutto e utilizzano poco gli oggetti che hanno preferendo inventare tutto in maniera virtuale con i loro devices. 

Non voglio essere il solito boomer che critica sempre e comunque tutto. Non credo che la nostra generazione fosse migliore, eravamo meno attrezzati, e per questo cercavamo il divertimento dove e come  potevamo.

I giochi allora erano più semplici, senza algoritmi da studiare o da applicare, semplicemente “si facevano”, ci si incontrava solo e comunque di persona e se volevi giocare  dovevi per forza “farlo” dal vivo in maniera reale. Oggi non è più così, computer e smartphone hanno fermato le persone su sedie, divani o letti eppure permettono di viaggiare, incontrare persone, trascorrere il tempo.

L’ unico rammarico che posso mostrare per tutta questa tecnologia è la distanza dalla realtà che i nostri figli stanno prendendo. Credo che ci sia una sorta  di confusione tra reale e virtuale che ci allontana dalla prossimità degli altri. Essere distanti non ci permette di coltivare pienamente quelle virtù che ci servono per fare comunità. Diventa tutto troppo facile: la comunicazione, la risoluzione dei problemi si, ma tutto in maniera poco sostanziale. Nascono amicizie, si sviluppano e finiscono sui social ma si concretizzano poco.

Credo che bisognerebbe ritornare ad essere più pragmatici, pensiero opinabile naturalmente, perché in questo modo finiremo per essere troppo virtuali e perdere il contatto con la realtà, e non ci accorgeremo del pericolo nascosto che si cela in questa situazione: la solitudine e peggio ancora l’ egoismo che ci allontana dall’ essere solidali, la paura dell’ altro, del diverso. Nel virtuale è tutto più semplice perché abbiamo eliminato il contatto e la carità, l’amore che fa e che dona, insomma stiamo barattando le virtù per il virtuale perdendo una fetta importante della nostra umanità.


venerdì 20 novembre 2020

Chi comanda non suda...ma la colpa è del popolo


 Premetto che non sono un complottista, né un negazionista, tantomeno sono contrario all’ applicazione dei decreti ma...

C’è un atteggiamento che accomuna un po’ tutti i governatori delle nazioni ed è questo voler scaricare le responsabilità.

In questo periodo, sicuramente difficile per tutti, ognuno cerca di addossare a qualcun altro la causa di tutto quello che sta avvenendo.

Le forze politiche di opposizione lo fanno col governo, i medici dicono che bisogna chiudere tutto, gli industriali si lamentano per le restrizioni e così via.

Ogni categoria poi, ha in sé delle fazioni che si contrastano vicenda, creando ancora più confusione e malcontento.

Ma c’è un atteggiamento più subdolo. L’ atteggiamento di chi stando al potere, cercando di sviare le proprie responsabilità inerenti al proprio mandato, cerca spudoratamente di insinuare nella popolazione un senso più o meno esplicito di colpa. Così se il virus cresce e dilaga nella nazione è dovuto alle troppe uscite di casa, agli assembramenti, all’uso improprio dei sistemi di protezione.

Questa idea così si diffonde con la paura del contagio e “infetta” le menti tanto che davvero cominciamo a guardarci con sospetto tra noi. Il ricordo degli untori manzoniani si fa vivido nella mente di tutti.

Ebbene io non sono poi tanto d’accordo su questo atteggiamento dei nostri governatori.

Quando qualcuno di noi decide di entrare in politica lo fa sapendo di prendere su di se oneri e onori. Non mandiamo persone al governo a percepire grossi stipendi per il gusto di farlo. Un parlamentare guadagna quando 10/15 operai normali che lavorano 8 ore al giorno in maniera ininterrotta. Queste persome hanno il compito, il dovere, di prendersi cura della popolazione. 

Qualcuno potrebbe dirmi che in tutto il mondo sta accadendo la stessa cosa e tutti i paesi sono messi in ginocchio. Ma io credo semplicemente che in ogni paese la politica sta dimostrando le sue falle. La responsabilità di tutto quello che accade è dei governanti, perché nelle loro mani è stata riposta la fiducia delle nostre libertà, dei nostri diritti, della pace, della nostra salute. Ogni persona che muore per questo virus è da considerarsi un fallimento del sistema

 Il virus doveva essere bloccato sin dal principio e di questo c’ è una responsabilità oggettiva di chi viene pagato apposta per questo motivo. 

Certo ognuno di noi deve fare del proprio meglio per arginare il contagio, tutti abbiamo l’ obbligo di salvaguardarci e salvaguardare gli altri, ma non per questo possiamo essere considerati degli scellerati, solo perché cerchiamo di vivere una vita normale. 

Tutti questi governi che non sono riusciti ad arginare il virus, che hanno causato morti e procurato l’ indigenza di tante persone che fino a qualche mese fa vivevano tranquillamente, dovrebbero fare ammenda e alle prossime elezioni avere il buon senso di rimanere a casa a svolgere altre mansioni.

Non è possibile essere inetti e scaricare la  “colpa” sulle popolazioni , chiedere sacrifici disumani solo agli altri. Non ho sentito nessuno dei politici dare il buon esempio e tagliare le proprie spese.

Speriamo in un futuro migliore, augurandolo ai nostri figli che purtroppo dovranno pagare loro le conseguenze di questa crisi e di tutti questi debiti.


mercoledì 18 novembre 2020

La gratitudine: spina dorsale della vitalità

Ogni mattina appena sveglio eseguo sempre un rito:

appoggio i piedi nudi a terra e percepisco la differenza di calore che c’è tra il pavimento, freddo e inerte e il mio corpo caldo e vivo. Dopo di questo ripeto più volte la parola “GRAZIE”.

Lo trovo un rito propiziatorio necessario. Non è così scontato esserci. Non è così scontato respirare ancora. Se ci facciamo caso la nostra vita si mantiene su equilibri molto fragili. Il battito cardiaco, il respiro, le varie, minuscole, elettricità che attraversano il sistema nervoso, tutte queste cose ci consentono di esistere qui in questo momento, di esserci, di essere situati in un preciso momento storico. Eppure tutto questo è così instabile che bastano pochi minuti di cattivo funzionamento per compromettere seriamente tutto il sistema.

Incominciare la giornata con un senso di gratitudine è il minimo che possiamo fare. Ci sono tante e tante cose di cui ci lamentiamo continuamente, ma raramente pensiamo a quello che il Creato ci offre ogni giorno, le emozioni che ci arrivano, i brividi che attraversano la schiena e ci fanno sentire vivi e importanti. In oriente dicono che la colonna vertebrale si comporti in noi come un’antenna che ci collega con gli altri e con il cosmo. Questa specie di “ripetitore” ci permette di rimanere in contatto con tutti gli esseri viventi e quanto più è eretta verso l’alto tanto più il suo segnale è potente ed efficace. Riceviamo e trasmettiamo emozioni, sensazioni, sentimenti e se impariamo ad essere grati nelle piccole cose, non potremo che essere dei veicoli di positività.

In questo periodo, più che mai, abbiamo bisogno di essere positivi per aiutare gli altri e aiutarci a superare i momenti più tristi di solitudine.

Ringraziamo Dio, la Natura, il prossimo quindi, ringraziamo sempre per connetterci in una rete comune di positività. In fondo ricordiamoci che non abbiamo nessun merito per essere qui e sono anche fortemente persuaso che non possa essere un caso la vita di ognuno di noi, non un accidente casuale nei movimenti della natura, ma persone fortemente volute con un compito da svolgere e con il privilegio di poter godere di tutto quello che ci circonda.